ISBN: 978-88-99680-10-7
Curatore: Alessandro Agresti
– Editore: etgraphiae
Per qualcuno scrivere di Bernardino Nocchi potrebbe sembrare inutile. Che senso avrebbe un nuovo libro sull’artista lucchese, per giunta collettaneo? Ve n’era davvero bisogno? E sentiamo un poco: quali temi, quali nodi da sciogliere avrebbe mai un artista di questo calibro, tanto più in un periodo di disaffezione, se non addirittura di generale disarmo critico nella storia dell’arte in Italia?
Il tono intenzionalmente paradossale del paragrafo di apertura sembra appropriato non solo e non tanto per accendere l’interesse del lettore, quanto per rendere merito al coraggio di Alessandro Agresti. Il ‘suo’ volume suscita difatti almeno tre nodi di riflessione. Partiamo dal primo di questi nodi, che è di natura iconografica. Uno degli enzimi risiede nell’intervento di Fabrizio Lemme, noto avvocato, collezionista ed esperto di arte romana del diciassettesimo e del diciottesimo secolo. Un contributo breve ma intenso, come si suole dire, perché circoscritto a un solo pezzo di Nocchi, il Mosè calpesta la corona del Faraone, già sul mercato antiquario e di recente passato giusto nella raccolta Lemme. In poche righe l’autore riporta al centro la questione della sua iconografia, ripresa dalle Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe (II, cap. 9, par. 7). “Un soggetto raro, ma non rarissimo”, conclude l’autore: studiosi come Adam Pigler hanno difatti l’anno rintracciato in circa quaranta altre opere, anche se, va notato, per lo più di ambito extra-italiano.
Un secondo nodo di riflessione ha a che fare con il contributo di Nocchi nel genere del ritratto. “Fece ancora molti ritratti che per brevità non si descrivono” recita in proposito la biografia di Tommaso Trenta, uscita nel 1822, allorché Nocchi era morto esattamente da dieci anni. Quando si pensa a un artista nato a Lucca nella seconda metà del diciottesimo secolo spunta quasi in automatico il collegamento con Pompeo Batoni e con i molti numeri del suo catalogo legati ai protagonisti del Grand Tour, britannici e non. Farlo è tuttavia un errore. Il saggio di Francesco Petrucci serve esattamente a questo, cioè a mettere in fuga qualsiasi dubbio. Petrucci, prendendo spunto da alcune prove certe di Nocchi – compreso il Ritratto della venerabile Marie-Clotilde di Francia, regina di Sardegna, firmato, datato 1807 e oggi nella collezione di Vittorio Sgarbi – restituisce il profilo di un artista che, nel porre in sordina gli aspetti fisionomici e psicologici del personaggio raffigurato, preferì sottolineare il contesto e magari gli accessori. In tal modo riemerge il collegamento con un filo di Arianna – in definitiva quello del ritratto ‘ambientato’ – che, sebbene già posto in evidenza da Stella Rudolph, viene ancor oggi spesso sottaciuto.
Un terzo e ultimo spunto di riflessione, stavolta di natura politica, è scatenato dal saggio di Pier Paolo Racioppi. Racioppi restringe l’attenzione sui tempi della Repubblica Romana, ovvero dal febbraio 1798 al settembre 1799, e alla posizione assunta in quel frangente dagli artisti. In una monografia del 2014 lo storico dell’arte aveva affrontato il tema nel suo complesso, analizzando, talvolta in termini assai dettagliati e ad horas, le dichiarazioni di principio, le rendite di posizione, gli equilibrismi o viceversa i repentini e talora anche patetici spostamenti di versante di molti protagonisti della nutrita colonia artistica romana di quegli anni. Un tema su cui anche Antonio Pinelli in un libro del 2000 aveva scritto pagine di rilievo. In questo saggio Racioppi offre un carotaggio specifico sull’orientamento e ancor più sull’atteggiamento di Nocchi verso i vari governi che si avvicendarono in quei mesi molto complicati. L’aggancio è fornito da una commissione obiettivamente di rimarchevole interesse, la copia da L’ultima cena di Leonardo da Vinci che Nocchi realizzò verso il 1780 per la quadreria del Museo Nazionale in Vaticano. In questa “sorta di Louvre rivoluzionario romano”, per restare alle parole dell’autore, la copia di Nocchi avrebbe assolto perfettamente il compito di colmare un tassello importante nella panoramica sulla storia dell’arte italiana tra la fine del quindicesimo e la meta del diciottesimo secolo.
Tornare a riflettere su Nocchi si rivela dunque un’operazione non soltanto utile, ma in fin dei conti doverosa. Perché, esattamente al contrario di quanto si era affermato in partenza con una punta di dolce provocazione, questo pittore nasconde una serie di insidie. Va a tutto merito al curatore, Alessandro Agresti, l’aver insistito perché tutti i saggi – inclusi cioè quelli che per semplici ragioni di spazio non si sono potuti citare per esteso – venissero richiesti, messi insieme e stampati in forma di volume. Paolo Coen
SCHEDA
Omaggio Bernardino Nocchi
Curatore: Alessandro Agresti
Editore: etgraphiae
Brossura pp. 136 ill. a colori e b/n
cm 17×24